
Scrumble De Manzana – il racconto
Quest’anno la Patagonia non è stata clemente, ma ci siamo adattati e divertiti ugualmente. A dire il vero, considerando che la ventana più bella della stagione è arrivata 2 giorni dopo il volo di ritorno, abbiamo avuto un bel po’ di sfortuna! Durante la nostra permanenza non ha mai fatto più di 12 ore di tempo decente, con condizioni difficili delle pareti; così abbiamo optato per obiettivi in giornata e casualmente siamo andati in ordine decrescente di popolarità. Accompagnati dal vento, abbiamo iniziato dalla classica ma stupenda “Chiaro di Luna”, per poi continuare sul Mermoz con “Vol De Nuit” e finire sulla est del Piergiorgio. Ecco qualche cartolina che la nostra mente terrà nel cassetto dei ricordi di questa ultima avventura.
Nonostante la sua parete ovest sia uno scudo di 800 metri di rara bellezza, il gruppo del Piergiorgio è sicuramente meno blasonato dei vicini Torre e Fitz Roy, forse perchè richiede un avvicinamento più lungo degli altri. È incredibile pensare che la vera cima del Piergiorgio sia stata calpestata per la prima volta dalla cordata Garibotti-Haley solo nel 2014, dalla parete est per la via Skvarca del ’63. La nostra idea originaria era di salire lungo lo stesso itinerario perché le previsioni danno una breve finestra che terminerà nel pomeriggio: se di finestra si può parlare visto che è previsto un vento da ovest che soffia con raffiche fino a 75 chilometri orari. Poi però abbiamo scambiando due parole con Rolo. Con la sua classica espressione sorridente ed entusiasta ci ha detto: “Ci potrebbe essere una goulotte poco più a destra, se è formata, BISOGNA salirla”.
Il vento infuria, piantiamo la tenda protetta nel bosco poco sopra il Rifugio Fraile, per evitare la più esposta Piedra Negra. L’indomani l’avvicinamento sarà più lungo ma poco importa; partiremo prima. Intanto ci gustiamo la solita zuppa ed un meraviglioso Alfaores (tipico dolce argentino ripieno di Dulce de Leche), comodamente seduti fuori dalla tenda. Unico fastidio, dei moscerini che vanno e vengono con la stessa frequenza delle raffiche. E’ un privilegio non da poco essere al riparo.
Ci aspettano “solo” 6-7 ore di cammino, così partiamo alle 11 di sera con l’intento di arrivare all’alba all’attacco. Quando le distanze sono eterne mi piace camminare di notte: vedo solo a pochi metri dal naso e non percepisco lo sviluppo. Vicino all’attacco della Supercanaleta, il vento, previsto da ovest, ci colpisce in ogni direzione tanto forte da farci quasi perdere l’orientamento. Per proseguire spegniamo la frontale e ci orientiamo scrutando il profilo scuro del Piergiorgio.
Raggiunta la base della parete, alziamo la testa e vediamo un facile lenzuolo di ghiaccio che sale verso la spalla nord. Poco più a sinistra, sopra al seracco, la nostra linea, estetica, verticale. La goulotte di cui parlava Rolo, anche se esile, è formata e continua.
Non ci mettiamo tanto a decidere di provare ed entriamo in parete superando il crepaccio terminale.
All’inizio saliamo comodamente, ma dal secondo tiro la musica cambia: il ghiaccio è sottile e non ci permette di usare nessuna delle 3 viti che abbiamo. Anche le fessure, che inizialmente salivano parallele alla goulotte, diventano rare, svase e incrostate di ghiaccio. Perdiamo tempo a pulirle e con qualche runout saliamo ugualmente su terreno verticale, per fortuna non troppo difficile. L’arrampicata è piacevole, il sole dietro il Fitz una benedizione.
Alla fine della goulotte arriviamo su una spalla circondata da placche tonde e neve inconsistente. Non c’è possibilità di fare una sosta. Scaviamo per 20 minuti alla ricerca di una insperata fessura. Proprio prima di rassegnarci, ne troviamo una che ospiterà un dado, unico segno del nostro passaggio sulla via. Con una calata ci ricongiungiamo a “Esperando La Cumbre” aperta più di vent’anni fa da Maurizio Giordani e Luca Maspes.
La nostra cordata è perfettamente affiatata, continuiamo ad alternarci veloci al comando, prima un facile canale, poi altri due tiri di misto, finchè arriviamo sotto il fungo sommitale. Ora non siamo più protetti dalla parete; la forza del vento insieme alla precarietà della partenza dalla sosta su “rime” sottile (classica incrostazione di ghiaccio che si forma sulle cime patagoniche) insinuano qualche dubbio, giusto per farci gustare e desiderare ancor più la cima. Una mano sul sedere del compagno è la protezione adeguata per alzarsi dalla sosta e, dopo aver superato una sezione delicata, scaliamo in breve il facile fungo sommitale.